Ho aggiornato il contenuto della pagina il 11 Ottobre 2024
Napoli, Via dei Cristallini 133. Un vecchio portone di legno si apre su una ripida scala scavata nel tufo millenario, un passaggio stretto che precipita fino ad undici metri sottoterra. È come scendere in un’altra dimensione, di tempo e di spazio. L’ultimo gradino mi porta indietro nel tempo, a 2300 anni fa. Sono su una strada greca dell’antica Neapolis e davanti a me si aprono quattro camere sepolcrali del IV secolo a.C.
Entro in punta di piedi in questa meraviglia nascosta, ancora chiusa al grande pubblico, ma al centro di un restauro importante.
È l’Ipogeo dei Cristallini, un tesoro di architettura e pittura ellenica, da sempre chiuso al pubblico, custodito prima dal barone Di Donato che lo scoprì nel 1889 e poi dalla famiglia Martuscelli che ha ereditato questi luoghi.
Un progetto di recupero e restauro, tenacemente voluto da Alessandra Calise e suo marito Giampiero Martuscelli, e tutt’ora in corso, renderà presto fruibile il sito.
Siamo nel cuore del Rione Sanità, nel via vai caotico e colorato del Borgo dei Vergini: in epoca greca, quest’area si trovava a nord della cinta muraria dell’antica Neapolis, extra moenia, e i coloni greci la destinarono a necropoli cittadina. La presenza di grossi costoni tufacei favoriva la costruzioni di monumenti funerari via via venuti alla luce nel corso del XVIII secolo quando iniziò la progressiva urbanizzazione della zona.
Sotto la superficie stradale della città odierna giace un’altra città, silenziosa e cristallizzata nel tempo, sacra e meravigliosa.
L’Ipogeo dei Cristallini ci porta in questa città altra. Il sito è costituito da quattro sepolcri contigui, scavati nel tufo, ciascuno con il proprio ingresso indipendente. Si aprono direttamente sulla strada, le facciate di ingresso con le porte sono andate perdute. Ogni sepolcro si compone di due camere sovrapposte: quella superiore che, quasi completamente occupata dal pavimento su cui si apre una scala, funge da accesso alla camera funeraria inferiore.
Il sepolcro centrale è quello che si è conservato meglio sia come architettura che come apparato decorativo. La camera inferiore ha una copertura con volta a botte e sarcofagi a forma di letto scavati nel tufo, con materassi e doppi cuscini. Sulla parete di fondo, nella lunetta centrale, in alto, c’è una testa di Medusa scolpita e dipinta, perfettamente conservata. Il realismo e l’espressività del volto sono potenti.
Quello che rende prezioso questo sito è il corredo pittorico che sta venendo alla luce, un raro esempio di pittura greca. Fregi, festoni, corone di alloro, motivi geometrici, grifi e teste, iscrizioni, candelabri dipinti decorano gli ambienti. Sono di colori vivaci: rosso, giallo e azzurro. E poi ocra, verde, nero e bluastro.
Sempre in questa sala, Alessandra mi mostra un altro piccolo affresco, quasi nascosto: due esili figure seminude si guardano intensamente, sono Dionisio e Arianna. Lei una principessa, figlia del re Minosse di Creta, lui il Dio che la salva.
<La loro storia di amore è un po’ come la mia, ho sentito subito vicina questa immagine e ne ho fatto il logo dell’Ipogeo>, racconta Alessandra. <Ci vuole amore per questa città e portare l’Ipogeo alla luce, sicuro e fruibile a tutti, è il nostro regalo per Napoli. In primavera questi luoghi saranno finalmente accessibili>
Il restauro in corso è iniziato nel settembre 2020 e sarà ultimato entro il febbraio 2022; in parte finanziato con fondi Europei/ Regione Campania (Por Campania Fesr 2014-2020), vede in campo l’Istituto Centrale per il Restauro, la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Via dei Cristallini, 133 Napoli
De laurentis Antonio
Bellissimo ed interessante sito.
Quando sarà aperto al pubblico ci sarò anch’io.