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Nell’agosto del 2001 sono stata in Ladakh, una piccola regione all’estremo nord dell’India, racchiusa tra le cime dell’Himalaya, al confine con il Pakistan e il Tibet occupato dalla Cina. Lo chiamano il “Paese dei monti ruggenti”, il “piccolo Tibet”, l’ultimo Shangri-la, dove il Dalai Lama è di casa perché qui il buddismo tibetano si è conservato intatto. Il Ladakh è stato aperto al turismo nel 1974. Me ne aveva parlato un amico inglese. E sono partita. È stato un viaggio on the road su strade da vertigini, tra monasteri buddisti, villaggi fermi nel tempo, popoli incredibili, nomadi e yak. Dodici giorni sul tetto del mondo, tra i 3500 e i 5000 metri, tra campi tendati e jeep. Con me uno zaino e un sacco a pelo, due macchine fotografiche, ancora con il rullino, e un diario che ho ricopiato qui quasi integralmente.

Le foto pubblicate qui sono solo una minima parte di un enorme reportage e sono state acquisite con l’I-phone e portate in digitale in maniera molto artigianale. Perdonate pertanto la risoluzione.

 

 

19 agosto 2001

Eccomi in Ladakh. Finalmente!

Il desiderio ha vinto la paura. Lo spettacolo dell’Himalaya è forse indescrivibile. Abbiamo sorvolato un paesaggio sconfinato fatto di cime innevate, picchi e valle deserte, qualche lago creato dallo scioglimento dei ghiacci. Già dall’aereo si intravedono i primi monasteri arroccati e oasi di verde inatteso.…L’aereo atterra sul tetto del mondo. E che aereo. L’aeroporto è zona militare, uomini armati, barricate e filo spinato. In tutto il Ladakh vivono 100mila persone e 100mila militari.

…Un ladakho ci porge al collo una striscia di seta in segno di benvenuto.

Siamo a 3.555 metri, l’altitudine si sente.

Ogni passo scandisce ora un tempo diverso, finalmente lentissimo.

Il cielo è di un azzurro intenso, l’aria incredibilmente rarefatta.

Bisogna bere molto già dal giorno prima per vincere il malessere d’altitudine. E riposare almeno un giorno.

20 agosto

In jeep diretti verso i monasteri di Hemis e Thiksey.

Lasciamo Leh dopo aver visitato il palazzo reale e monastero di Shey e seguiamo il corso dell’Indo lungo una strada tortuosa che si inerpica tra le montagne.

Ladakh significa “Terra degli alti passi”. Le cime che ci circondano sfiorano i settemila metri.

La strada è incredibilmente stretta, militari e monaci buddisti sembrano gli unici abitanti di queste regioni. Saliamo fino a 3.800 metri al monastero Hemis, una antica cittadella monastica abitata da circa 500 monaci. Varcato il portone esplodono i colori. Monaci bambini sono dappertutto. Faccio girare le ruote di preghiera come vuole l’usanza buddista: ad ogni giro di ruota la preghiera si diffonde nell’aria. Gli interni del monastero sono bellissimi, in legno dipinto, con affreschi ben conservati, un’immensa biblioteca e il “tangka”, un dipinto su rotolo, più grande di tutto il Ladakh, lungo 12 metri, viene esposto ai fedeli ogni 12 anni. Si dice che all’artista che lo realizzò furono tagliate le mani per evitare che ne facesse un altro.

Pellegrina fa girare le ruote di preghiera

21 agosto

Siamo ad Alchi sotto un albero di mele piccole e gustose. È un piccolo villaggio a tre ore – 90 km – da Leh e c’è il monastero più bello visto fino ad ora: fondato tra l’XI e il XII secolo ha piccole porte dipinte che introducono a sale costruite con il legno e il fango. Ci sono grandi statue di Buddha in terracotta dipinta e le uniche pitture murarie di tutta la regione.

La strada che da Leh conduce sin qui è spettacolare: stretta, costeggia le montagne, un’infilata di tornanti e strapiombi da brivido. Sorpassi sul ciglio, polvere, colonne di convogli militari e camion colorati che corrono impavidi. Ogni curva è una vertigine, ci sono carcasse di camion precipitati. E, sui lati della strada, vediamo uomini contorti, piegati su se stessi che spaccano sassi.

Sotto di noi scorre il fiume, è impetuoso, si insinua tra gole profonde e ci accompagna fino al camp di Ulletokpo dove passeremo la notte accoccolati sotto le cime dell’Himalaya.

22 agosto

Sono qui seduta al monastero di Lamayuru per assistere al rito del mattino. Un giovane monaco soffia in una conchiglia bianca, si chiama tungkar, per richiamare i Lama. Nella sala ci sono circa cinquanta monaci, tutti seduti in posizione Asana, nelle loro tuniche color prugna e zafferano. Ripetono un mantra. Musica per le mie orecchie. Qualcuno inizia altri seguono, poi muovono le mani, compongono figure con le dita. I monaci bimbi sono seduti, distratti, uno dorme. La cerimonia si interrompe e un monaco bambino versa il tè al burro. Bevono. Si ricomincia. Un monaco apre le cortine che rivelano il mandala di sabbia. Suoni di tromba, tamburo e piatti. Grandi campane. Vibra il cuore a sentire questi suoni. Il tamburo rulla forte, il ritmo incalza. Chiudo gli occhi e mi perdo.

I monasteri del Ladakh sono tra i più belli del mondo, arroccati, come cittadelle fortificate, ma soprattutto luoghi vivi e abitati. Sono luoghi di preghiera, di silenzio, ma anche di giochi di bambini, di pellegrinaggi e feste. Custodiscono tesori enormi, pitture, statue, manoscritti, abiti, strumenti rituali, tanka di artisti di 300, 400 anni fa. Ma a me piace la vita che si respira dentro, il buddismo della compassione.

 

23 agosto

Ho dormito in una tenda montata ai piedi di una parete vertiginosa. Piccola ma comodissima. Riso, lenticchie speziate e sacco a pelo. Si mangia benissimo quassù. Ho aperto la cerniera lampo della mia tenda alle 7, lo spettacolo della montagna baciata dal primo sole è grandioso.La meta di oggi è Dah-hanu, la Valle dei Dardi. Quattro ore di jeep estenuanti su una strada sterrata con tornanti e strapiombi da vertigine.

24 agosto

La Valle dei Dardi, riaperta ai visitatori solo qualche anno fa, è nascosta tra le montagne, fuori dal tempo, lontano dal mondo. Un popolo che non ti aspetti tra queste cime. Pelle bianca, occhi rotondi e nasi aquilini, di statura alta, si dice che siano i discendenti di Alessandro Magno. Hanno volti bellissimi, abiti colorati e il capo sempre adornato di fiori freschi. I bambini vanno a scuola che è poi uno spazio aperto, sotto un albero: vestono grembiuli azzurri e un pullover color vinaccia, sono seduti per terra su una sorta di tappeto con le loro cartelle, c’è una grande lavagna e una bambina che conta. Vengono dai villaggi della valle, alcuni attraversano il fiume su una sorta di carrucola di ferro. Le donne fanno il bucato lungo il fiume, coltivano ortaggi e raccolgono albicocche dolcissime con cui fanno anche marmellate. Certo che non ti aspetti di trovare  alberi di albicocche sull’Himalaya.

25 e 26 agosto

La Valle di Nubra. A 120 km a Nord di Leh, si raggiunge attraverso il Passo di Kardung La, il valico transitabile più alto del mondo con i suoi 5600 metri, in cima cumuli di pietre e bandierine colorate di preghiera affidate al vento. La foto è d’obbligo.

La Valle è stata aperta al turismo nel 1993. Il paesaggio alterna distese aride e desertiche, con tanto di dune bianche, e zone verdi per lo scorrere dei fiumi Nubra e Shayok. Deskit è la cittadina principale e c’è il più antico e imponente monastero della valle abitato da una settantina di monaci.Hundar, tra boschi e torrenti, con il suo monastero in rovina, è un piccolo villaggio dove il tempo sembra essersi fermato. A Sumur visitiamo il monastero Samtanling aggrappato ad una parete rocciosa.

27 e 28 agosto

Torniamo a Leh per poi puntare verso sud-est, destinazione Valle di Rupso.

Si attraversa il passo Taglang La a 5300 metri di altitudine per entrare in questa valle che è tagliata fuori dai soliti circuiti turistici. È terra di pastori nomadi. Presso il lago Tso Kar, chiamato il lago bianco per i depositi di sale, vediamo le prime tende dei Khampa con le loro mandrie di yak e bovini. Sono circa cinquanta famiglie. Hanno volti bruciati dal sole, capelli arsi dal vento e abiti di lana pesanti, collane al collo di corallo e turchese. La meraviglia di questi volti non si dimentica. Vivono in questa terra brulla e lunare, bevono un tè denso al burro di yak.

C’è una festa in una tenda, stanno celebrando un matrimonio, ci dice la guida. I bambini sono tutti fuori dalla tenda, stesi per terra a spiare. Mi invitano ad entrare. Sono tutti seduti intorno al fuoco, c’è un Lama, e ci sono altri anziani. La sposa ha un copricapo con un drappo bianco, un mantello che sembra di lana e seta ricamata, grandi orecchini di perle e turchesi. Bevono una strana birra e rum di orzo. Mi offrono qualcosa di caldo e imbevibile in una tazza.

29 agosto

Abbiamo dormito in tenda e sacco a pelo su un pianoro a 4000 metri sotto un cielo immenso. Una manciata di tende e un falò acceso con sterco di yak per riscaldarci. Di notte fa freddo, le temperature scendono bruscamente. Di giorno il sole scotta. L’acqua del torrente per lavarci il viso è gelata.

La destinazione di oggi è il Lago Tso Moriri a 4500 metri di altitudine incastonato tra le cime più alte del Ladakh, al confine con il Tibet. A Korzok visitiamo il monastero di metà ‘800.

Io, nel 2001, con il mio rosario tibetano al collo.

Note sul viaggio.

Nel 2001 ho viaggiato con un gruppo Kel 12 Dune. Il Ladakh si raggiunge da Delhi con un volo di circa un’ora. Non so quanto sia cambiato in questi 19 anni e mi ritengo fortunata ad averlo visto ancora integro. A Leh già si intravedevano i segni dell’Occidente, le prime parabole e le insegne Coca cola. Nel 2010 ci è stata una grande alluvione con molti morti, cosa strana e rarissima per un paese dove le piogge non arrivano mai.